“The Tempest” è un’opera teatrale di William Shakespeare, probabilmente scritta nel 1610-1611, si pensa fosse una delle ultime opere che egli scrisse da solo. Dopo la prima scena ambientata su una nave in mare durante una tempesta, la storia si sviluppa su un’isola remota, dove lo stregone Prospero, un personaggio complesso e contraddittorio, vive con sua figlia Miranda.
L’Hawker Aircrafts Tempest era un caccia-bombardiere monomotore che volò per la prima volta nel 1942 e fu un’evoluzione del precedente Hawker Typhoon. Team Tempest è invece un consorzio tra industrie e Ministero della Difesa britannico per immaginare, progettare, sviluppare e rendere operativo un aereo da combattimento di sesta generazione che tra vent’anni dovrà sostituire l’attuale flotta di Eurofighter Typhoon ed affiancarsi all’aereo americano Lockheed Martin F-35 Lightning II, unico velivolo operativo di quinta generazione prodotto in grandi numeri ed in corso di acquisizione da parte di Royal Air Force e Royal Navy.
Il nome assegnato ricalca la tradizione britannica di attribuire nomi di eventi atmosferici ai propri aerei da caccia ma anche (messaggio per l’esterno) per ricalcare la tendenza degli ultimi caccia europei, la cui prima lettera è una T, frutto di partnership tra nazioni ed alleati del vecchio continente: ci riferiamo ovviamente a Tornado e Typhoon.
Come l’opera di Shakespeare che ha scritto da solo, il Regno Unito è partito in solitaria stanziando fondi importanti (2 miliardi di sterline complessive sino al 2025) per un progetto che si delinea quantomeno ambizioso e complesso arrivando a proporre un mock-up che denota quanto siano avanzati gli studi preliminari sinora completati. Dopo esser stato svelato con una grancassa mediatica di sicuro effetto esattamente un anno fa durante il Salone Aerospaziale di Farnborough, il concept a grandezza naturale è stato una delle vedettes del recente Royal International Air Tattoo 2019 svoltosi come da tradizione sulla RAF Fairford.

Le aziende fondatrici del Team Tempest hanno inteso, come approccio iniziale, capitalizzare quanto si è acquisito come ritorno tecnologico ed industriale in qualità di partner di primo livello nel progetto Joint Strike Fighter; attualmente il consorzio Tempest comprende BAE Systems, Rolls-Royce, MBDA Missile Systems, Leonardo UK, il Ministero della Difesa britannico con le due agenzie DSTL (Defence Science and Technology Laboratory) e DE&S (Defence Equipment and Support) ai quali si è aggiunta da poco la svedese SAAB (con la chiara scelta di campo del governo svedese che a sua volta ha già messo sul piatto 2 miliardi di sterline). SAAB da sempre vanta una stretta collaborazione con le industrie d’oltre Manica e al RIAT mostrava il proprio Gripen a fianco di un Eurofighter swing-role in in un’area allestita assieme a BAE Systems di per sé molto significativa.

Il progetto franco-tedesco concorrente, il FCAS (Future Combat Aicraft System) di Airbus e Dassault deve far fronte invece ad una doppia sfida: finanziamenti e gap tecnologico da colmare. Nessuna delle due nazioni ha in linea un caccia di quinta generazione a bassa osservabilità; pensare, progettare e arrivare ad un aereo finito non sarà un’impresa facile. Denaro tedesco e requisiti francesi sembrano essere gli elementi che compongono l’equazione alla base del consorzio franco-tedesco che la Spagna (l’azienda CASA spagnola è stata assorbita da Airbus) ha di recente raggiunto.
L’Italia non ha scelto subito, sono trascorsi circa 15 mesi dal lancio del progetto del Team Tempest ed otto settimane dall’ingresso della Svezia, e le scelte del precedente esecutivo in materia di difesa non sono sempre state limpide, tanto da rischiare di “perdere il treno” e non avere voce in capitolo nei requisiti operativi che saranno la base di tutta l’architettura del futuro aereo da combattimento e naturalmente nella spartizione dei pregiati carichi di lavoro. Il ritardo nella scelta del progetto ha spinto l’Amministratore Delegato di Leonardo Alessandro Profumo a rilasciare nei mesi scorsi una serie di interviste con il chiaro intento di informare l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori ma soprattutto di spingere per una decisione politica al fine di scegliere rapidamente un progetto per poter pianificare per tempo, contare nelle decisioni chiave ed influire sui requisiti inziali prima del loro congelamento. Si è giunti così a preparare la strada per la firma della lettera d’intenti con il Team Tempest, slittata di alcuni giorni a causa della crisi di governo e l’insediamento del nuovo esecutivo.

Si è arrivati così alla firma tra della Lettera di Intenti, del 10 Settembre 2019, che porta ufficialmente l’Italia dentro al Team Tempest, accordo siglato tra il Gen. Nicolò Falsaperna, Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, e l’Air Marshal Sir Simon Bollom, Chief Executive Officer della Defence Equipment and Support, il contraltare della nostra D.N.A. Si conosceranno meglio nelle prossime settimane i dettagli di questo accordo che porta l’Italia a bordo del Team Tempest, per ora si può certamente affermare con soddisfazione che l’Italia c’è, che la scelta operata è stata sicuramente la più lungimirante e opportuna per la Difesa Italiana e che il Team Tempest sta macinando milestones importanti nella progettazione di un aereo di 6^ generazione. Non va dimenticato come dopo l’Eurofighter, l’Europa si è purtroppo fermata e per alcune aviazioni militari europee la scelta di un aereo di quinta generazione è stata inevitabilmente direzionata verso l’americano Joint Strike Fighter di Lockheed Martin. Con il Tempest, pare che non si ripeterà questo errore strategico, non si dovrà un domani acquistare off-the-shelf un prodotto di altri, non si perderà il treno del progresso tecnologico, quote di lavoro per le nostre aziende (come in tutti i progetti militari vi sono anche ampie ricadute nel settore civile) ed avremo di sicuro più occupazione. Le aziende italiane che supporteranno il progetto sono: Avio Aero, Elettronica, Leonardo e MBDA Italia, queste ultime due già impegnate nel programma Tempest tramite le filiali inglesi.
I vantaggi del Tempest
Aeronautica e Marina Militare hanno avuto (ed hanno tutt’ora) gli stessi aerei in organico anche nella RAF, oltre ad essere membri della stessa alleanza militare (la NATO): Tornado, Eurofighter ed F-35 (Aeronautica), Harrier II (Marina) e Harrier e Sea Harrier (RAF e RN), seppur prematuramente ritirati dal servizio con molti rimpianti dei suoi utilizzatori. Inoltre, BAE Systems e Leonardo producono entrambe parti importanti dell’F-35, Rolls-Royce ha avuto un ruolo chiave nel progettare e produrre il Lift System della versione STOVL F35B ed attraverso MBDA hanno in comune la parte missilistica.
Sul fronte FCAS di Airbus e Dassault, non vi erano queste comunanze iniziali, i rischi sarebbero stati molteplici a partire da un sicuro rapporto conflittuale con i partner francese e tedesco che già “litigano” con la controparte spagnola; i francesi non sono di certo disposti a rinunciare ai propri requisiti, così com’è accaduto durante lo sviluppo dell EFA (European Fighter Aircraft) dal quale sono scaturiti Typhoon e Rafale. Intanto il Tempest ed il FCAS vanno avanti come abbiamo visto e i due punti segnati dal primo con l’ingresso di Svezia e Italia ne rafforzano immagine e credibilità. Data la quantità di fondi richiesta per un progetto molto ambizioso e che dovrà affrontare grandi sfide tecnologiche (aereo da combattimento netcentrico, controllore di sciami di droni, aereo non pilotato, intelligenza artificiale), è difficile che due progetti possano coesistere in Europa e molti addetti ai lavori pronosticano prima o poi una fusione tra i due consorzi per arrivare ad un solo design, ma al momento il Tempest pare partire da basi più solide del progetto concorrente. L’entrata in gioco di partner finanziariamente ben coperti (Giappone? Korea?) che hanno necessità di raccogliere sfide globali molto serie e di arrivare con estrema rapidità ad un aereo operativo potrebbe far sì che due team possano arrivare in fondo, oppure affossarne uno o sviluppare individualmente un altro nuovo velivolo.
Abbiamo avuto modo di vedere il Tempest da vicino durante il recente RIAT 2019, sedere nell’abitacolo e scambiare alcune parole con i delegati di BAE Systems. La prima cosa che ha colpito, prima ancora di vedere il ben rifinito mock-Up, è stata l’enorme spinta promozionale che vi è stata data: gadgets, manifesti, locandine, persino sui biglietti era riconoscibile la sagoma del concept di 6^ generazione. Una scala posta sul lato destro dell’aereo consentiva di poter vedere l’abitacolo e la superficie dorsale del velivolo. Il suo posizionamento e le strutture fisse adiacenti non hanno purtroppo consentito di riprendere il mock-up da dietro per ottenere qualche dettaglio sulla configurazione ad oggi pensata degli scarichi di due motori a ciclo variabile che Rolls-Royce sta sviluppando. Un’evoluzione tecnica analoga a quella che si prospetta per l’F-35 e che anche l’Eurofighter potrebbe beneficiarne, prevede di montare sul Tempest motori che produrranno più energia, più spinta e soprattutto che consumeranno meno di quelli attuali a beneficio di raggio d’azione e affidabilità.



Visto di fianco, l’aereo si presenta molto basso al suolo (come l’F-22) con la postazione del pilota assai rialzata in grado di garantirgli una visione naturale dello spazio circostante pressoché perfetta. I progetti di F-22 e del defunto ma molto rimpianto YF-23 Black Widow II avevano la stessa caratteristica, poi completamente rivoluzionata dalla configurazione del Joint Strike Fighter, che attraverso i propri sensori offre al pilota una visione senza eguali di dati ed immagini a 360° pur essendo seduto in una cabina che non offre la possibilità di uno sguardo tradizionale ad ore 6.
La fusoliera dietro all’abitacolo si dipana molto piatta e rastremata verso i bordi alari posteriori di un’ala molto grande, sottile a falso delta con le estremità lievemente rivolte verso il basso e presenta i bordi d’uscita ad ampio “dente di sega” dal disegno assai simile al nuovo bombardiere B-21 Raider. I piani verticali sono piccoli, assai distanziati, di forma pentagonale, molto angolati verso l’esterno e racchiudono le due gondole che accoglieranno i futuri motori. Esse si presentano ben distanziate con gli scarichi annegati in fusoliera e inframmezzate da un ampio cono posteriore di “Flanker-memoria”, naturalmente con disegno stealth, che racchiuderà parafreno, sensori e forse un’arma laser.

Le prese d’aria sono rimaste ben mascherate dai tappi, si presentano comunque come DSI (divertless supersonic inlets) dal disegno esteriore con angolature assai accentuate, ancora più estremizzato rispetto alle prese che troviamo sull’F-35. Il carrello anteriore, biciclo caratteristico del Gripen, è situato all’altezza delle prese d’aria, mentre quello posteriore presenta gambe robuste e monociclo assai simili a quelle dell’F-35. Seppur la lunghezza non ci convince, l’architettura, di sicuro non definitivo, sembra pensata per atterraggi di tipo duro (STOVL? Portaerei?). Osservando l’enorme radome, di nuovo si intuisce l’ispirazione allo YF-23.
Non sono al momento visibili baie armamenti; di sicuro ve ne sarà una ventrale annegata tra i motori, così come non si vede il ricettacolo per il rifornimento in volo. Il funzionario di BAE Systems presente (una graziosa, giovane e molto competente ingegnere) ci ha riferito che non è stato ancora deciso il suo posizionamento, di sicuro verrà utilizzato il sistema a tubo flessibile e cestello (probe-and-drogue) dato che esso è lo standard in uso sugli Eurofighter e F-35B; del resto, i tanker della RAF (gli A-330 MRTT Voyager) non sono dotati di sonda ad asta rigida. Il mock-up ad oggi non presenta al momento alcuna carenatura per il cannone o un’arma energia diretta, vedremo nei prossimi anni quale sarà la soluzione implementata.

Analogamente, anche il cockpit non presenta alcun dettaglio visivo del suo ipotetico interno, se si esclude il seggiolino eiettabile. Ci viene riferito che gli studi preliminari sono ancora in corso e che entro il 2020, massimo prima metà del 2021, l’architettura di massima (comandi HOTAS, qualche interruttore e il resto virtuale) verrà finalizzata in buona parte. Del resto, BAE Systems lavora già da tempo sul futuro cockpit e il ruolo del pilota che si trova ai comandi di un velivolo di 6a generazione.
Il progetto Future Cockpit Research, sviluppato per offrire gli enhancements necessari a far rimanere competitivo il Typhoon per il prossimo ventennio, comprende lo studio di un nuovo casco come naturale evoluzione del BAE Systems Striker II Digital Helmet Display in dotazione ai piloti dei più recenti Typhoon FGR.4 (Tranche 3), di sensori biometrici alla testa ed alle mani, controlli cognitivi, schermi virtuali, proseguendo lo sviluppo tecnologico offerto dal “sistema F-35” con DAS, EOTS e casco HMTS. L’enorme mole di dati e apparati che il pilota dovrà gestire, assieme al controllo e la gestione dello sciame di droni “spendibili” da combattimento e ricognizione che affiancheranno le missioni del Tempest, richiedono capacità e velocità di calcolo enormi ed è chiaro quanto sia chiave ridurre il carico di lavoro del pilota offrendogli quanto serve in quel preciso momento oltre alla predizione di quanto andrà ad accadere di lì a poco. L’intelligenza artificiale della macchina, unita a tutto l’apparato di sensori che renderanno il pilota un (cinematograficamente parlando) “alieno”, saranno elementi imprescindibili e decreteranno il successo o meno di un progetto così ambizioso.
Questo è il pensiero alla base del Future Cockpit Research che troverà la sua evoluzione finale con il Tempest. L’Eurofighter, come già abbiamo sottolineato, beneficerà di questa filosofia che porta verso una cabina di pilotaggio virtuale; l’idea che viene proposta è di sostituire la vasta gamma di quadranti e interruttori che rivestono l’abitacolo, con la proiezione degli indicatori e dei controlli sullo schermo all’interno del casco del pilota, rappresentati con tecnologia 4k e attraverso l’uso di guanti tattili, il pilota raggiungerà un “interruttore virtuale” che può vedere ma che in realtà non esiste e premendolo, avrà la sensazione di farlo davvero sfruttando dispositivi di vibrazione tattile montati sulle punte dei guanti. Il pilota potrà ovviamente configurare a proprio piacimento il display virtuale potendolo posizionare ovunque all’interno del proprio campo visivo, dove riterrà essergli più funzionale. Per il rifornimento di carburante in volo ad esempio, il pilota potrebbe spostare l’indicatore di carburante ed i display di controllo dell’operazione esattamente in linea con il proprio ricettacolo ed il cestello dispiegato dall’aerocisterna.



In un sistema così avveniristico anche la tuta di volo sarà rivoluzionaria: sarà dotata di propri sensori i cui dati potrebbero essere rappresentati sui display virtuali oppure su una specie di smartwatch che il pilota consulterebbe per monitorare i propri dati biometrici raccolti dai sensori posti all’interno della propria tuta, oppure richiamare i dati degli altri piloti in missione. Stress, condizioni cognitive e psico-fisiche potranno essere così monitorati per garantire in ogni momento la conoscenza dello stato di salute del singolo pilota o del suo gruppo. Se il capo-formazione conosce lo stato degli altri piloti e dei loro velivoli), questi potrebbe decidere di spalmare diversamente ruoli e compiti previsti durante la pianificazione al fine di garantire che tutti stiano lavorando al massimo delle loro capacità e ridurre al minimo le debolezze massimizzando in modo adattivo l’efficacia dell’intero sistema d’arma in quel dato momento. Team di psicologi sono parte dei vari gruppi di lavoro per contribuire a stabilire il perimetro dei dati che un pilota è in grado di gestire contemporaneamente e per farglielo fare nelle migliori condizioni possibili dopo che il sistema, attraverso tutta la suite di sensori di cui dispone, ne ha raccolto i dati, li ha catalogati, elaborati e prioritizzati, indi messi a disposizione ma nell’essenzialità di quelli che in quel determinato momento sono vitali per il pilota e per la missione.
Oggi, solo i piloti di F-35 (non conoscendo le reali prestazioni di Su-67 e j-20) hanno potuto sperimentare e beneficiarne sugli aerei attualmente operativi. Se l’interfaccia pilota-macchina-sensori dell’F-35, definizione di uno dei nostri piloti, è ritenuta così avanzata da immaginare che il prossimo step tecnologico possa essere solamente l’intelligenza artificiale, significa che il Tempest l’avrà a bordo e probabilmente sarà il fulcro dell’architettura generale del sistema d’arma, ma oggi viene ritenuto che un F-35 può fare molto ma molto di più di qualsiasi altro caccia in servizio.


Motore: Rolls-Royce ha dichiarato che sta lavorando ad un motore con turbine in materiali compositi a base ceramica e che il turbofan dovrà erogare notevoli quantità di energia elettrica anche grazie all’inserimento di magneti inseriti al suo interno, il tutto per consentire al sistema di gestire le centinaia di apparati elettronici ed in particolare le armi ad energia diretta che potrebbero essere impiegate in attacchi “non-kinetic” laddove si volesse azzoppare pesantemente (ma non abbattere) l’aereo nemico, o all’estremo, arrivare a neutralizzarlo del tutto. Se l’energia diretta di cui il Tempest verrebbe dotato sarà disponibile a bordo, idealmente verrebbe esclusa la possibilità di interrompere la missione e da attaccante diventare fuggitivo. In ogni caso, questi per ora sono targets ambiziosi da raggiungere e non vedremo di sicuro tanto preso aerei stile “Star Wars” che lasciano partire mirabolanti raggi assassini a 30, 40, 50 miglia di distanza dall’obiettivo.
Torniamo alla configurazione generale che il mock-up ci offre e che è già chiaramente frutto di ore di galleria del vento e simulazioni al computer. L’aereo mostra angoli acuti nei bordi della fusoliera che sono una caratteristica dell’F35 e dell’attuale filosofia di progettazione volta a confondere i sistemi radar attuali.
Tuttavia, ciò che oggi è poco osservabile di sicuro non lo rimarrà in futuro perché anche i sistemi di scoperta di aeromobili a bassa osservabilità si evolvono a loro volta, in una sorta di competizione parallela.
Di sicuro l’aereo sarà più grande degli attuali F-35/monomotore e Typhoon/bimotore (il J-20 preso a riferimento dimensionale?) sia per consentirgli di stivare maggior carburante ed arrivare più lontano, che per contenere un maggior carico bellico all’interno delle stive. La configurazione a doppio piano di coda (non enormi come sull’F-22), piccoli e fortemente inclinati ci inducono pensare che la manovrabilità abbia per ora vinto sulla furtività.
Si è anche insistito molto, sia durante la presentazione spettacolare dello scorso anno a Farnborough che al RIAT 2019, sul fatto che il Tempest sarà un sistema pilotato ma anche “unmanned”.
Ci sono dei potenziali problemi per gestire un velivolo della classe Tempest come un UCAV, secondo noi, confermati peraltro anche dalla nostra interlocutrice e che i team di progettisti dovranno trovare risposte adeguate negli anni a venire; probabilmente ci sarà un essere umano all’interno del processo decisionale, un aspetto essenzialmente morale. Però la ragione a nostro avviso più pratica è che se il Tempest è senza pilota, esso deve essere controllato con mezzi remoti? Se sarà così, i collegamenti saranno sempre garantiti o potrai garantirli con certezza pure in ambienti ampiamente degradati, inclusi i collegamenti satellitari? Se questi collegamenti saranno aggrediti o deteriorati, cosa succederà?
Inoltre, un velivolo con capacità senza pilota e con pilota a bordo costerà probabilmente molto di più nello sviluppo, nel portare avanti gli steps migliorativi a spirale e nel momento in cui si scenderà a compromessi (inevitabili, probabilmente), i vantaggi rimasti di questa scelta duale saranno ancora tali o saranno stati vanificati?

Il Tempest, rilasciato e controllato il suo sciame, agirebbe furtivo nelle retrovie come un Quarterback in una partita di football americano e in grado in ultima istanza di “tirare” i suoi missili al termine del “lavoro” svolto dai droni. L’uso di un aereo che controlla uno sciame di droni che potrebbero essere esche o combattenti (trasportati all’interno della stiva o in volo a fianco dell’areo-madre) è invece un qualcosa che potrebbe diventare realtà in tempi molto rapidi.
In un recente briefing presso il sito BAE Systems di Warton, ci è stato riferito che alcune forze aeree stanno diventando riluttanti a usare un aereo da combattimento per coprire più ruoli. Un aereo multiruolo facilita la logistica, la manutenzione, l’addestramento e concorre a contenere i costi complessivi e può svolgere molte missioni. Ma se il nemico trovasse un modo per abbatterlo o inibirne le sue potenzialità, questo fatto potrebbe comprometterne in modo pericoloso la capacità di condurre gli altri tipi di missione che gli sarebbero invece richiesti perché il nemico ha in mano le capacità per neutralizzare quel tipo di aereo seppur impegnato in una tipologia di missione differente.
La prospettiva di un’aeronautica che vola con un solo tipo di aeromobile “tutto-fare” offre senza dubbio, come abbiamo già sottolineato, innegabili vantaggi in termini di costi, logistica, addestramento, know-how che in periodi di ristrettezze ai risicati bilanci della difesa (perlomeno in campo occidentale ed ancor più in Italia) sono importanti. Un procurement modulare volto ad acquisire e mantenere operativa una flotta di aerei specializzati presenta innegabili punti di forza ma vanno ad intaccare il bilancio nelle voci di logistica d’aderenza, syllabus addestrativi, sostenibilità generale, organico.
Aggiungiamo a titolo di esempio che se abbiamo in linea un F-22 Raptor specializzato in air dominance che per 10 anni (semplifichiamo) non ha tirato un solo colpo, diventa difficile giustificare il suo costo di macchina avanzatissima e specializzata e (semplifichiamo nuovamente) questo semplice concetto lo ha marchiato per sempre. A nulla sono valsi gli sforzi di renderlo multiruolo o di riaprirne la produzione, la sua fine era già stata decretata.
Perché il Regno Unito ha deciso di gettarsi ed investire pesantemente nel progetto Tempest? Il documento strategico sulla difesa aerea redatto dal MoD è piuttosto vago: in sintesi, vi si afferma che il Regno Unito deve garantire la capacità di effettuare missioni di combattimento aria-aria e aria-superficie abbinate a capacità estese di sorveglianza, ricognizione, guerra elettronica e compiti di comando e controllo, tutto contemporaneamente ed in un ambiente elettronico degradato. I rappresentanti di BAE Systems hanno chiarito che pur desiderando il contributo attivo di partner ed alleati nel progetto, è stato ribadito che i principi cardine espressi poc’anzi si basano oggi e nel prossimo futuro sull’accoppiata F-35 e Typhoon, ma è vitale oggi continuare a investire e aggiornare quest’ultimo mentre si studia il suo successore.

Il piano elaborato prevede la finalizzazione del progetto entro i primi anni del 2020, produrre un prototipo pilotabile entro il 2025 ed immettere in servizio il Tempest entro il 2035. L’uscita del Typhoon sarebbe quindi graduale e nell’arco dei 10 anni successivi, partendo dalle macchine più vecchie. Il Typhoon inoltre, servirà da banco di prova per testare tutte quelle tecnologie in corso di sviluppo per il Tempest consentendone la maturazione per arrivare con rischi ridotti sull’aereo di 6a generazione ma contestualmente allargando OGGI le capacità dell’aereo paneuropeo massimizzandone il ritorno industriale (e spalmandone i costi).
E’ pertanto evidente come la strategia avallata dal Ministero della Difesa britannico dovrebbe portare ad un Tempest che entra in linea pienamente efficace almeno nelle sue missioni chiave e nell’architettura generale, semplicemente perché la maggior parte dei suoi sistemi sarà già stata sperimentata ed utilizzata. La strada comunque è ancora molto lunga e impervia, i key-pillars del progetto non sono ancora stati scritti nero su bianco.
Abbiamo visto nell’F-35 come una decisione chiave abbia cambiato lo sviluppo del progetto Joint Strike Fighter: cannone si o cannone no. Nel Tempest i progettisti e il committente dovranno invece decidere su “pilota si o pilota no“. Gli aerei moderni sono costruiti attorno al pilota e limitati dalle sue esigenze del pilota. Senza un pilota, un aereo può essere costruito avendo la metà delle dimensioni e incassare molti più g, per esempio.
Allo stesso modo, deve essere in grado di controllarsi, difendersi e pensare da solo per quei momenti in cui i collegamenti saranno interrotti o compromessi, come rifiutare ordini di attaccare le proprie forze o… di atterrare in territori assolutamente off-limits (l’esempio dell’RQ-170 “catturato” dagli iraniani probabilmente non aveva questo dettaglio nel suo software).
Se l’aereo è in teatro per gestire uno sciame di droni, non avrà probabilmente bisogno della manovrabilità necessaria per l’air dominance e potrebbe essere un monoposto (come l’F-35…) dotato della sopravvivenza di una A-10 e con armi laser per abbattere i missili che hanno superato i droni. Quello che l’aereo non sarà in grado di fare, è probabilmente supportare il pilota per gestire il combattimento che presenta migliaia di variabili da considerare, ma allo stesso tempo dovrà avere la manovrabilità per combattere i droni del futuro.

Si potrebbe rischiare, semplificando nuovamente l’equazione, di avere in linea un caccia da 100 milioni che non può però competere con droni da 1 milione. E se invece fosse un grande aereo da carico o un B-52 a sganciare droni in quantità e di dimensioni ben superiori a quelli imbarcabili su un caccia? Come vediamo, già fermarsi a riflettere ed analizzare i pochi dati ad oggi disponibili sul progetto, è esercizio da mal di testa.
Il progresso tecnologico, supportato da fondi adeguati, probabilmente porterebbe a costruire un aereo per il quale vogliamo che faccia una tal cosa, che ne faccia un’altra ancora e probabilmente le farà entrambe. Ma torniamo alle basi, chi si intende di Process Management l’avrà capito: di cosa abbiamo davvero bisogno, chi sono i nostri “nemici? Di cosa pensiamo realmente di aver bisogno nel 2040?
Qual’è oggi il requisito di domani?
In conclusione, la tempistica per lo sviluppo di Tempest sembra indubbiamente ambiziosa e sarà fondamentale ottenere dai vari governi adeguati e puntuali finanziamenti.
BAE Systems ha fissato come target temporale la metà degli anni 2030 per consegnare i primi esemplari di serie, ma tutto dipenderà dalla definizione rapida del requisito finale, dai partner che entreranno nel progetto e dal riuscire a mantenere le tempistiche necessarie per congelare le specifiche, maturare le tecnologie più innovative, industrializzare il prodotto e farlo arrivare ai reparti.
Lanciamoci in un’ulteriore riflessione, a dimostrazione di quanto enorme sia la nuova sfida per arrivare ad un caccia di sesta generazione veramente rivoluzionario e game changer. Dovrà essere in grado di atterrare e decollare verticalmente, essere in grado di svolgere molte funzioni simili a un drone, magari incorporare caratteristiche di un elicottero?
O forse ci sarà bisogno di un aereo sovradimensionato e sovrapotenziato, o più modelli specializzati?
Il progetto Tempest rappresenterà un game changer nel 2040 oppure non sarà alla fine nulla di più di un’evoluzione della filosofia operativa che ha ispirato l’F-35? Servirà forse qualcosa di realmente rivoluzionario per vincere le sfide complesse del futuro e contenere le minacce esterne che di sicuro saranno altrettanto evolute?
Vedremo nei prossimi anni se il Tempest risponderà ai requisiti formulati e se molte delle domande che ora ci poniamo troveranno adeguata e soddisfacente risposta.
Testo e immagini: Gianluca Conversi
Schede grafiche: courtesy BAE Systems