Per “racconti in quarantena” ci spostiamo in provincia di Ascoli Piceno, più esattamente nel Parco Archeologico Foro Romano di Cupramarittima, dove sono in volo con il mio paramotore.
Questo racconto si svolge in una calda giornata di fine 2013, è una di quelle giornate in cui un volatore non lo tieni a terra manco se lo leghi ad un obelisco e io non faccio eccezione e me ne sto trenta metri per aria diretto verso nord. Oggi ho deciso di lasciar da parte il solito volo ludico sulle spiagge di San Benedetto del Tronto e Martinsicuro per fare un volo culturale ed andare a vedere il Parco Archeologico Foro Romano di Cupramarittima, un’area di 32 ettari dove si trovano tracce dell’impianto urbano dell’antica città romana di Cupra Marittima. Volo alto sopra i resti della città, provando ad immaginare come doveva essere bello questo posto, con le sue ville, il suo foro ed il santuario della dea Cupra di cui ancora è possibile vedere alcuni resti.
Tutto intorno la campagna Marchigiana, con le sue forme dolci e sinuose lambite da un sole tenue che esalta i colori pastello tipici di questo periodo. Giro sopra l’antica città perdendomi tra le mille sfumature dei boschi, dei prati, dei vigneti e delle tante case in mattoncini che si intonano perfettamente con la bellezza di questo posto, è una di quelle situazioni in cui mi dimentico di tutto e tutti per quanto sono preso dall’ambiente circostante.
Poi … poi mi arriva un sms di mio fratello Lorenzo: “Manu, dove sei? Sto andando a S. Giacomo con Uba, vieni anche tu?” – “ehmm no, non posso! Sono in volo con il paramotore a Cupramarittima… non ce la faccio a venir su o forse si… boh ti scrivo tra mezz’ora”
Cupramarittima (AP) – S. Giacomo (TE) 35 km in linea d’aria… Troppi! Troppi anche per uno come me che ama le sfide, troppi per la poca miscela che mi è rimasta nel serbatoio, troppi per potergli dire: “si sto arrivando!”
Rassegnato viro verso sud costeggiando le spiagge di Grottammare e di S. Benedetto, quando mi ricordo di avere 10 litri di miscela nascosti in auto… Non ci penso due volte, mi fiondo in atterraggio, faccio il pieno e scrivo un messaggio a mio fratello: “dammi un’ora e ci vediamo a S. Giacomo. Se puoi aggiornami su direzioni ed intensità del vento, a dopo!”
“Facile dire arrivo, più difficile farlo e non farsi male, ma tu sei fatto cosi, Mané, a te le sfide eccitano più del sedere della Hunziker, è la tua natura, ora fai dei respiri profondi e vai!”
Osservo ancora una volta S. Giacomo avvolto da una labile foschia, poi alzo la vela, la guardo, implorandola di riportarmi a casa sano e salvo, poi corro e decollo! La valle del Tronto si mostra in tutta la sua bellezza mentre avanzo timoroso verso est, vedo i borghi di Monteprandone (a nord) e di Colonnella (a sud) che come sontuose colonne di una villa sembra vogliano indicarmi l’ingresso della vallata, vedo campi coltivati lottare contro i capannoni industriali nell’eterna sfida tra industria ed agricoltura, paesi piccoli e grandi, ognuno con una peculiarità ed una storia da raccontare, uniti idealmente dal fiume Tronto che attraversa questa vallata, in fondo, avvolte nella foschia, loro, le montagne: a destra il monte Vettore e a sinistra i monti Gemelli, con l’abitato di S. Giacomo, la mia meta finale.
Il mio paramotore avanza sicuro, chissà forse anche lui come me si sta godendo il panorama o forse sono io che ho bisogno di pensarlo per non rimuginare sulla cavolata che sto facendo, non lo so, so solo che dopo 30 minuti di volo raggiungo l’abitato di Monticelli, immediata periferia di Ascoli.
Ricevo un SMS da mio fratello: “Vento da Ovest 5 km/h, mi raccomando fai attenzione ai sottoventi, la cosa ideale è che passi largo davanti S. Marco poi come sei al rifugio Paci ti avvicini al pendio e sfrutti le termiche per salire più velocemente”
“Monticelli si balla un po’! Ci vediamo su se la turbolenza mi molla!”. Faccio quota e, come un germoglio in un campo di grano, faccio quota e spunto fuori dalla foschia godendomi lo spettacolo delle montagne innevate, mollo la macchina fotografica e mi concentro sul pilotaggio davvero impegnativo in questa fase del volo, disegno dei cerchi larghi per fare quota, poi lentamente mi avvicino al pendio seguendo scrupolosamente le indicazioni ricevute da mio fratello, ma non andrà sempre così oggi!
Il sole si staglia alto sui monti della Laga esaltando i colori di queste montagne, mentre il mio paramotore, per nulla affaticato, continua a spingermi fino ai 1100 metri di S. Giacomo; la turbolenza finalmente mi molla e posso tornare a gustarmi il panorama e a far foto, mentre a terra Lorenzo, Uba e mio nipote Alessio mi vedono lentamente avvicinarmi alla meta, ultima accelerata e sono a terra!
Atterro e caccio un urlo liberatorio: non è stato affatto facile arrivare sin qui! Un’ora fa ero a volare in spiaggia, ora sono in montagna con i piedi sulla neve… Bello abitare tra Marche ed Abruzzo eh?
Saluto i miei amici e ci mettiamo a parlare del volo, dei panorami che ho visto ma soprattutto del vento che secondo mio fratello sta cambiando. Lorenzo mi fa notare una “strana” nuvola poco sopra il monte Ascensione, secondo lui è il segnale che è in arrivo una perturbazione e mi invita a non ridecollare e di farsi accompagnare a casa in auto.
Sarà l’adrenalina, sarà la voglia di stare in aria, sarà la (mia) eccessiva presunzione ma decido di non ascoltarlo e di tornare a casa in volo: mai decisione si rivelerà più sbagliata!!!!
All’inizio il volo procede bene, decollo verso Ovest in maniera impeccabile poi viro verso est puntando il mare e gustandomi la Majella ed il Gran Sasso d’Italia illuminati da un timido sole al tramonto, poi la turbolenza inizia prepotentemente a farsi sentire. Mi sembra che una mano abbia preso la mia vela e abbia iniziato a sbatterla a destra e a sinistra, pensando di essere in pieno sottovento mi sposto verso nord ma la situazione non migliora. Urlo per scaricare la mia paura rimpiangendo di non aver ascoltato mio fratello e provo a perdere quota spostandomi verso sud e cercando un atterraggio ma la turbolenza peggiora quindi riprendo quota e, rassegnato, avanzo ballando la macarena.
La vallata è completamente in ombra, i colori accesi visti prima sono solo un lontano ricordo: ora solo buio e una maledetta turbolenza. Mi maledico mille volte e a fatica raggiungo il mare dove finalmente, dopo un’ora la turbolenza mi molla e posso tornare a respirare…
Mi mando a quel paese un’ultima volta poi faccio pace con me stesso e mi do una pacca sulle spalle, mentre il motore, incurante della turbolenza, continua a fare splendidamente il suo lavoro. Faccio un 360 vicino al mare guardo il sole tramontare dietro al monte Vettore e gli dico: “vai giù te per primo, io ti raggiungo!”
Spengo il motore e plano fino a terra, leggero come una piuma.
Testo e immagini: Emanuele “Manè” Ferretti