Il Lockheed Martin SR-71 Blackbird fu un velivolo leggendario e ancora oggi all’avanguardia dotato di un sistema di particolari serbatoi studiati per sigillarsi solo ad elevate temperature e velocità. L’inconveniente era la perdita di carburante a terra e nelle fasi di volo subsonico. Nonostante i velivoli superstiti oggi siano quasi tutti perfettamente asciutti, a distanza di anni alcuni Blackbird musealizzati continuano ancora a perderlo.
Era il 1955 e la Shell Oil americana fu interpellata della CIA e dell’USAF per la produzione di un particolare carburante con determinate caratteristiche necessario a far funzionare il loro velivolo spia Lockheed U-2. Entrambe le istituzioni avevano bisogno di un combustibile che di base fosse a bassa volatilità e che non evaporasse ad alta quota.
Dopo mesi di studi venne sviluppato il nuovo carburante la cui produzione si attestò subito in diverse centinaia di migliaia di galloni US (per un totale di circa 1 milione di litri). La produzione, estremamente lunga e complessa, richiedeva tutti quei sottoprodotti del petrolio che la Shell normalmente utilizzava per produrre il suo insetticida Flit, causandone una carenza a livello nazionale.
Kelly Johnson durante le fasi di progettazione del SR-71 scelse di impiegare proprio questo prodotto per la sua vasta gamma di peculiarità e caratteristiche chimico/fisiche e non solo come semplice carburante, ma anche come liquido di raffreddamento sia per la coppia di J-58 che per la cellula del velivolo, eliminando cosi i rischi dovuti all’impiego di una sostanza più infiammabile e volatile.
Chimicamente il JP-7 è una miscela composta principalmente da vari tipi di idrocarburi compresi alcani, cicloalcani, alchilbenzeni, indani / tetralina e naftalene. Alla miscela vennero aggiunti anche i fluorocarburi per aumentare le sue proprietà lubrificanti assieme ad un agente ossidante per farlo bruciare in modo più efficiente. Il JP-7 è un liquido che possiede un’elevata stabilità all’ossidazione termica, una una bassissima reattività/ volatilità ed un flashpoint di circa 60° C. Di base è possibile gettare un fiammifero acceso in una stagna contenente questo carburante per osservare lo spegnimento della fiamma.
Il carburante venne concepito proprio per funzionare all’interno di una vasta gamma di temperature: dal quasi congelamento ad alta quota, a valori molto alti, impossibili da sostenere per le normali tipologie di carburanti. Tali caratteristiche uniche nel loro genere ne rendevano il suo impiego, il trasporto e lo stoccaggio particolarmente sicuro ma imponeva allo stesso tempo l’utilizzo di un sistema di ignizione atto allo scopo. Pertanto si preferì avvalersi di un sistema chimico di ignizione piuttosto che meccanico dato che una soluzione di quel tipo avrebbe potuto creare seri problemi di affidabilità.
Per ovviare a questi problemi si scelse di impiegare una sostanza fortemente reattiva, in grado di incendiarsi immediatamente in presenza di ossigeno: il TriEtilBorano. I serbatoi di contenimento del Blackbird erano quasi un unicum a livello aeronautico dato che ai tempi assieme all’Oxcart erano gli unici 2 velivoli costruiti per consentire al carburante di fuoriuscire deliberatamente da essi.
Una volta in volo, la temperatura generata dall’attrito dell’aria infatti avrebbe dilatato progressivamente e in modo controllato i vari elementi di giunzione, compreso quelli dei serbatoi fino a sigillarli ermeticamente. Per la loro realizzazione venne impiegato un composto fluorosilicato appositamente concepito per ottenere una tenuta stagna ottimale solo in regime cruise e supercruise, evitandone il loro danneggiamento per eccessiva dilatazione. Ciò inevitabilmente portava ad una chiusura non perfetta a temperatura ambiente.
L’SR-71 era dunque un velivolo concepito per perde sempre del carburante sia a terra che in volo subsonico a causa della mancanza di una pratica alternativa che potesse risultare al contempo altrettanto funzionale ma al contempo più economica. Non fu possibile usare nè delle guarnizioni né degli altri materiali che potessero fungere da sigillante. Il calore dell’attrito li avrebbe liquefatti durante il volo, con serie ripercussioni anche ai danni della struttura di rivestimento.
Nonostante il ricognitore sia in pensione da tempo e che gli esemplari superstiti siano diventati ormai dei pezzi da museo, tutti i velivoli destinati alla conservazione statica prima di essere esposti, vennero drenati di tutti i liquidi e dei fluidi presenti. Nonostante il lavoro certosino, fu matematicamente impossibile drenare completamente in un’unica soluzione tutto il carburante rimasto a bordo. Fungendo anche da liquido di raffreddamento per la struttura infatti, esso veniva stivato in qualsiasi angolo dell’aereo, anche fra le intercapedini.
Per ovviare all’inconveniente fu dunque una pratica comune depositare delle pentole o dei contenitori sotto la fusoliera per raccogliere qua e là qualche goccia di carburante superstite che ancora continuava a filtrare a distanza di anni. Gli aerei che sono stati in mostra per molto tempo ormai sono perfettamente asciutti e non perdono più. Quelli facenti parte delle donazioni più recenti invece continuano a trasudare carburante, come l’SR-71 musealizzato all’Udvar-Hazy Center di Chantilly in Virginia, vicino l’Aeroporto di Whashington Dulles che ha ancora oggi alcune pentole sul pavimento con lo scopo di catturare quelle gocce di carburante che continuano a percolare.
Testo: Simone Ferrante
Immagini: US Air Force, NASA, Lockheed Martin
Seguiteci anche sul nostro nuovo canale Telegram.