A tutti noi probabilmente è capitato di veder volare un Canadair da vicino, alcuni (spero pochi) di noi vi hanno riposto la speranza che un lancio di acqua salvasse la propria casa dalle fiamme, altri li hanno ammirati mentre sfioravano le montagne per spegnere qualche incendio, mentre sui social è facile trovare le foto di questi velivoli impiegati nella loro attività. Eppure, c’è una domanda che mi martella più di un picchio che sta costruendo il proprio nido: “Com’è fatto un Canadair?”
Non me ne vogliate ma nel mio immaginario il Canadair è composto da due motori, una carlinga trasformata in un enorme serbatoio di acqua e un pilota robusto, muscoloso e un po’ rude ai comandi: sarà così?
Per rispondere alla mia domanda ho chiesto aiuto a Babcock Italia, la società che gestisce per conto dei Vigili del Fuoco i 19 Viking Air 415 Superscooper meglio noti come Canadair CL-415, la più grande flotta al mondo con questo modello specifico, di proprietà del governo italiano e che hanno la loro base principale presso l’aeroporto internazionale di Ciampino (Roma).
Prima di rispondere alle mie domande vediamo meglio cos’è un canadair e scopriamone le sue principali peculiarità.
Il Viking Air 415 Superscooper è un aereo anfibio bimotore turboelica ad ala alta, prodotto inizialmente dall’azienda canadese Canadair (di qui il suo nome) e poi dalla Bombardier Aerospace dagli anni Novanta, e dalla Viking Air Limited a partire dal 2016. Nella sua configurazione primaria è concepito per la lotta aerea antincendio, con la possibilità di operare efficientemente in regioni densamente forestale e ricche di specchi d’acqua.
Il CL-415 (versione in uso ai Vigili del Fuoco italiani) si distingue per l’utilizzo di due turbine Pratt & Whitney Canada PW123AF capaci di 2.380 shp (1 775 kW) accoppiati ad eliche quadripala Hamilton Standard 14SF-19 a passo variabile del diametro di 3,97 m e per maggior peso operativo: vuoto 12 333 kg, massimo al decollo da terra 19 890 kg, massimo al decollo dall’acqua 17 168 kg, per la versione antincendio.
In 43 anni mi è capitato molte volte di veder volare i canadair, ma la prima cosa che mi colpisce quando raggiungo gli hangar dell’aeroporto di Ciampino è l’imponenza di questo velivolo. A vederlo in volo non ci si rende conto di quanto sia robusto, ma girarci intorno e osservarlo in hangar fa davvero impressione, è mastodontico!
Lasciamo l’hangar salutando i ragazzi e le ragazze della manutenzione, la voglia è quella di raccontare le loro storie, le storie di chi ogni giorno con passione e tanto duro lavoro si adopera per rendere più efficienti e sicuri questi velivoli ma sappiamo che in questo momento ogni secondo del loro tempo è importante per preparare al meglio questi aerei per l’imminente stagione estiva degli incendi e noi non vogliamo distrarli con le nostre domande.
Le mie teorie sui Canadair si dissolvono come neve al sole quando arriva lei, Giulia Grigoletti, una delle tre donne pilota di tutta la flotta italiana Canadair, designata per guidarci alla scoperta di questo velivolo. Giulia è l’antitesi del mio “immaginario” pilota di Canadair: una ragazza acqua e sapone, allegra, sorridente e gentile. Ma quale “pilota robusto, muscoloso e un po’ rude” penso tra me e me, mentre Giulia si presenta e inizia a descrivere le caratteristiche principali del Canadair. Ho sempre pensato che tutti i piloti fossero uguali, che il sesso non contasse nulla, che lassù che tu sia uomo, donna, normodotato o diversamente abile non contasse nulla, che contasse la tua passione e quello che hai dentro, e Giulia è la perfetta incarnazione di questa mia teoria!
Con una semplicità disarmante, Giulia ci descrive il suo lavoro facendolo sembrare la cosa più semplice al mondo: il decollo, il modo con cui sfiorando lo specchio del mare o dei laghi riescono a caricare 6.137 litri in 12 secondi viaggiando a 150km/h, il sorvolo dell’incendio, lo sgancio dell’acqua volando trenta metri sopra le fiamme e seguendo indicazioni impartite da terra; onestamente la cosa mi infastidisce un po’: non può essere tutto così semplice!
Provo a punzecchiarla, ma lei senza scomporsi risponde ai mei dubbi, poi capisco che la sua sicurezza è frutto di una lunga e meticolosa preparazione, preparazione su cui Babcock ha investito molto, contribuendo anche a sviluppare il primo simulatore al mondo per Canadair (che tra l’altro si trova in Italia), su cui tutti i piloti passano diverse ore ogni anno.
Poi arriva il momento, quel momento che ho sognato da anni, il momento di salire nella pancia di questo elefante dei cieli! L’ho visto volare per settimane sui cieli dei “miei” boschi in fiamme, su questo velivolo ho riposto le speranze di salvare la mia casa natale, a lui ogni giorno molte persone chiedono di salvare i sacrifici di una vita… Non lo dico agli altri, ma un brivido mi attraversa da testa a piedi mentre lentamente mi arrampico sulla scaletta che mi porta nel cuore di questo velivolo, mi giro e senza farmi notare dò una pacca alla carlinga e gli dico “grazie amico!”
Le mie teorie sul canadair crollano definitivamente quando Giulia ci mostra i due serbatoi da 3.068,5 litri, grandi sì ma piccoli se paragonati alla grandezza del velivolo e comunque molto molto più piccoli di come li avevo immaginati da terra. Oltre i due serbatoi da 3.068,5 litri di acqua divisi in due parti per meglio indirizzare lo sgancio sulle fiamme, il canadair dispone di due serbatoi da 250 litri contenente un agente ritardante (una schiuma) che mescolato insieme all’acqua permette di aumentare l’efficacia dell’azione antincendio.
Ma come si pilota un canadair?
Giulia, con il pieno rispetto delle normative covid-19, ci invita a seguirla nella cabina di pilotaggio, dove troviamo una consolle abbastanza moderna, dove con mio grande stupore molti strumenti analogici hanno lasciato spazio a schermi e strumentazione digitale! La nostra pilota ci spiega il pilotaggio del Canadair con la naturalezza e la spontaneità con cui mia figlia mi sorride e mi abbraccia appena sveglia. A volte viene da pensare che chi fa questo tipo di lavoro sia una persona con doti particolari, con coraggio da vendere e invece parlandoci ti accorgi che sono persone normali, semplici e molto più umili di altri, e forse è proprio questo il vero punto di forza di queste persone (non parlo solo di Giulia, ma di tutti i piloti di canadair): l’umiltà!
Ascolto attentamente le spiegazioni di Giulia, poi l’occhio mi cade sulla cloche: mi fa specie vedere mani così minute e curate poggiate sulla cloche ed immaginare Giulia in azione tra montagne, fiamme e turbolenze di ogni genere, mi fa specie, ma mi fa piacere perché mi rendo conto che poco possono i muscoli di fronte alla volontà e alla preparazione, mi compiaccio perché capisco che in questo mondo c’è ancora spazio per i sogni.
“Il pilota di Canadair quindi? Una persona come tante, solo che ha come ufficio una consolle che vola a 150km/h a trenta metri dalle fiamme con oltre 6.000 litri di acqua nella pancia!” – penso tra me e me e respiro a pieni polmoni l’ultima boccata di cherosene, il profumo del volo, e mi lascio alle spalle i Canadair.
Dedicato ai tecnici, ai piloti, agli specialisti e tutto il personale (spesso invisibile) che ogni giorno lavora alacremente per permettere a questi velivoli di svolgere al meglio ed in tutta sicurezza il proprio lavoro!
Un sentito ringraziamento a Babcock Italia, alla bravissima Giulia Grigoletti, a Domenico Lofano e a tutto il personale che ha contribuito a rendere questa giornata davvero speciale.
Testo: Emanuele “Mané” Ferretti
Immagini: Gianluca Vannicelli